Fonte: Artlex
http://www.altalex.com/documents/news/2011/01/20/il-principio-di-apparenza-declinato-nel-diritto-processuale
Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 11/01/2011 n° 390
Sono una ventina i riti processuali correnti in Italia. Ognuno con le sue peculiarità, ognuno con i suoi tempi. E non sempre i frequentatori delle aule di tribunale li maneggiano con la stessa disinvoltura.
Capita dunque, come nel caso esaminato dalle Sezioni Unite in commento, che un determinato procedimento sia deciso con sentenza quando invece, data la materia particolare (procedimento speciale per la liquidazione dei compensi dell'avvocato ex l. 794/1942), avrebbe dovuto essere conclusa con un'ordinanza, ordinanza ricorribile esclusivamente in Cassazione.
Può capitare dunque che il soccombente in primo (ed in questo caso unico) grado abbia innanzi un provvedimento decisorio, chiamato sentenza, e non ordinanza. E decida di appellare, in considerazione della qualificazione data dal giudice, sulla idea che se il provvedimento decisorio è chiamato sentenza... allora ben potrà essere impugnato.
La corte d'appello non è dello stesso avviso: dichiara il ricorso inammissibile, con tanto di condanna alle spese legali. Sebbene chiamata sentenza – è il pensiero della corte d'appello – quella in primo grado integrava di fatto “una ordinanza sostanziale”, ed in quanto tale ricorribile solo in Cassazione.
Il due volte soccombente non demorde e propone ricorso in Cassazione sull'idea che la sentenza di primo grado sia necessariamente una sentenza – e non una ordinanza – perché così è stata rappresentata. E la Cassazione a Sezioni Unite gli da ragione: qui, a prevalere, deve essere l'apparenza sulla sostanza.
Il noto principio dell'apparenza del diritto è uno dei cardini fondamentali del nostro ordinamento, e svolge la funzione vitale di pleura polmonare, evitando che l'inventato e parallelo mondo del diritto astratto sfreghi troppo duramente contro la quotidiana vita reale. Nel codice civile la declinazione di detto principio è feconda (artt. 534, 1189, 1398, 1415, 1445, 1729 cod. civ.) e va a braccetto con il principio di buona fede, di affidamento e di certezza dei rapporti giuridici, oltre che con la pragmatica consapevolezza che nella vita reale si possono prendere spesso fischi per fiaschi, e non sempre per colpevole distrazione. Applicato alle sue estreme conseguenze, l'apparenza del diritto fa proprio anche l'ulteriore universo parallelo del diritto processuale, di fatto disgiunto dal diritto sostanziale generalmente inteso.
Quel che positivamente colpisce è che anche nell'universo processuale, il germe dell'affidamento incolpevole abbia dato i suoi frutti. La Suprema Corte, in modo lineare, evidenza come “le esigenze di certezza dei rimedi impugnatori” sono da preferire “rispetto a quelle sostanziali e contenutistiche”. Se dunque un giudice sbaglia, e chiama sentenza ciò che dovrebbe essere ordinanza, si realizzerà nei fatti un “allargamento dell'esercizio dei diritti di azione e difesa” in capo al soggetto interessato dell'impugnazione. Certo, a fronte di detto “allargamento”, il controinteressato si vedrà un poco compromesso il proprio diritto alla definizione della vicenda, ma detta compromissione è poca cosa – secondo la Cassazione – rispetto ai pregiudizi che ne deriverebbero seguendo una differente interpretazione, pregiudizi che sarebbero “a discapito dei principi di affidabilità e di certezza dei rimedi impugnatori”.
Se poi l'errore del giudice è nel senso inverso, ovvero se lo stesso chiama ordinanza non impugnabile in appello ciò che avrebbe dovuto chiamare sentenza, è sempre dato lo strumento del rimedio straordinario ex art. 111 della Costituzione, potendo con questo recuperare il grado ingiustamente precluso.
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